
Improvvisamente il destino si accanì, il 5 giugno del 1965, sull’intero equipaggio della Petroliera “Luisa” lanciando verso la morte 25 di quei ragazzi e il loro Comandante.
La sequenza degli eventi si svolse con una rapidità talmente impressionante da
impedirgli di comprendere che stavano dirigendosi tutti assieme verso la morte certa: avevano da scegliere tra la salvezza personale e quella di migliaia di persone…Essi preferirono ignorare se stessi e le loro stesse vite evitando un immane disastro, negando a se stessi anche la possibilità di rivedere i loro figli, le proprie mogli e coloro che li avevano generati. Probabilmente negli ultimi minuti ebbero il tempo per recitare un’ ultima preghiera e di pensare a coloro che avevano amato e lasciato a casa.
Tra quei 26 c’era anche un ischitano, di Forio, Aniello Calise di 41 anni.
Aniello era contornato dal piu’ grande tesoro che un uomo possa chiedere alla vita: l’ amore della sua famiglia, eppure il suo altruismo gli fece scegliere la morte per salvare gli altri. A questo punto è necessario porsi la domanda: Cosa c’e’ di piu’ grande della morte, per salvare altre vite?
.Mentre stavano caricando greggio nel porto di Bandar mashour in Iran
scoppio’ un incendio a bordo. Non c’era tempo da perdere: bisognava o abbandonare la nave, mettendosi in salvo, o portarla fuori dal porto. Per evitare la catastrofe. Insieme al Comandante, tutti loro, decisero di restare a bordo per condurla lontano dalla banchina, e rapidamente mollarono gli ormeggi. Tutti avevano anteposto il prossimo a se stessi. La petroliera “Luisa”fu condotta fuori dalle installazioni petrolifere del porto, e fuori dai terminali di carico, in prossimità dell’imboccatura del porto, improvvisamente, comincio’ a esplodere. Subito dopo le prime esplosioni l’equipaggio si lancio’ in mare, ma anche in acqua il greggio si infiammò e questo procurò la morte di 26 componenti dell’equipaggio tra cui c’era anche Aniello Calise. Se la “Luisa”fosse rimasta all’ormeggio sarebbero esplosi anche i depositi di greggio presenti nella zona, con migliaia di morti e danni incalcolabili.
Affondando, la nave, ostruì l’imboccatura del porto e questo procurò un contenzioso diplomatico tra l’Iran e l’Italia: il governo iraniano pretese dall’Italia di togliere la nave da quella posizione.
L’armatore della “Luisa” era la società di navigazione COSARMA, ma la nave aveva bandiera panamense ed in più era stata presa in affitto da società straniera. Chi era tenuto ad affrontare le spese per la rimozione? E come accade spesso in questi casi ognuno giocò le proprie carte e i corpi di quegli sfortunati eroi rimasero ostaggio del disinteresse, del tempo e dell’incomprensione umana per circa due anni. Fu grazie all’intervento dell’ Apostolato del Mare, su richiesta della “Stella Maris”, che quei corpi finalmente rientrarono in Italia, sbarcati nel porto di Trieste. A questo punto iniziò la triste trafila dei riconoscimenti da parte delle famiglie. Essendo la maggior parte di quei corpi resi irriconoscibili sia dal fuoco, dall’acqua che dal tempo trascorso, l’allora Ministro della Marina Mercantile Natali decise di far costruire per gli sfortunati eroi, nella Chiesa sacràrio di Mariport a Porto Marghera, una cappella chiamata “Cappella Stella Maris” e dove, ancora oggi, i resti di quegli sfortunati eroi
riposano. Infine giunse l’ora dei risarcimenti alle famiglie: chi doveva pagare: la Cosarma, il governo Panamense di cui la nave batteva bandiera o la società che aveva in affitto la nave?
Nessuno di questi pagò una lira. Alla fine ai familiari furono assegnati tre assegni cadauno: 1 per il lutto di 12 mila lire, 1 di 8 mila lire per il vestiario e per finire 3500 lire dalla prefettura locale….Ecco quanto allora valeva la vita del marittimo. I congiunti hanno chiesto giustizia per questi Eroi , ma fino ad oggi hanno visto solo il vuoto assoluto del niente…